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GLI ATTREZZI DEL PENSARE PARTE V - IGNORANZA DIFFERITA

Updated: Apr 25, 2022

IT/EN


di Francesco Zevio

Translation by the author







Ὦ τεχνικώτατε Θεύθ, ἄλλος μὲν τεκεῖν δυνατὸς τὰ τέχνης, ἄλλος δὲ κρῖναι τίν’ ἔχει μοῖραν βλάβης τε καὶ ὠφελίας τοῖς μέλλουσι χρῆσθαι.

Oh ingegnosissimo Theuth, c’è chi è capace di generare i prodotti della tecnica,

e c’è chi è capace di distinguere quale parte di danno

e di aiuto essi offrano a chi ne farà uso.

Platone, Fedro


Il fatto che grazie a internet molte e varie informazioni possano essere fruite con grande facilità e immediatezza è certamente una delle maggiori ragioni del suo successo. E su questo non ci piove. Quello su cui piove – e spesso anzi diluvia –, quello su cui non si ragiona con sufficiente acume critico sono le possibili conseguenze cognitive di un tale stato di cose. Tra queste, in particolare, le conseguenze su quanti sono impegnati in un percorso formativo preuniversitario. La prima e più nociva di tali conseguenze mi sembra essere quella dovuta alla procrastinazione virtualmente illimitata del momento della conoscenza, cosa che ha prodotto una nuova categoria cognitiva: ovvero l’ignoranza differita.


Noi siamo tutti, perlopiù, ignoranti differiti. Lo sviluppo della nostra strumentazione sociale è diretto alla produzione e alla riproduzione di ignoranti differiti. Non parlo qui della quantità, della molteplicità, della complessità d’informazioni e della concomitante incapacità di interpretarle, della possibile confusione dovuta a tale pletora informatica. Tutti quanti riconosciamo che facilità e immediatezza di fruizione permettono a un internauta di accedere ai contenuti della rete in pressoché qualsiasi momento, così moltiplicando straordinariamente, rispetto al passato, le sue possibilità di attingere notizie e informazioni di qualsiasi tipo; e tuttavia quanti riconoscono anche l’eventualità che questa inedita e straordinaria moltiplicazione, che questa facilità e immediatezza possano altresì implicare uno svuotamento, uno svilimento del momento stesso della conoscenza? È di questo svilimento che voglio parlare, non della confusione legata alla quantità.


Ciò che viene svuotato, ciò che viene svilito è il “momento” considerato come sommatoria degli elementi e delle circostanze che concorrono a caratterizzare un atto educativo anche e soprattutto in quanto atto espressivo e relazionale, quindi dotato di una sua unicità. La consapevolezza che una certa opportunità di conoscenza sia legata a un qualche momento circoscritto, al presentarsi di una certa irripetibile situazione espressiva e relazionale (sia essa un incontro, l’ascolto di un discorso, la partecipazione a un colloquio, la concentrazione necessaria alla lettura di un libro che non si ha sempre “a portata di mano”), ci dispone a un diverso ascolto, a una diversa tensione interiore e dunque a una diversa qualità d’attenzione. In un “momento” del genere convergono una miriade di altri elementi legati a una miriade di altre sensazioni che rendono tale momento estremamente più ricco e appunto, sebbene in diversa misura, irripetibile.


Oltre a ciò, pure sussiste il rischio che tramite tale uso venga veicolata un’idea essenzialmente funzionale della conoscenza: così da imporre su tutti il suo valore di uso puntuale e performativo. Le informazioni vengono attinte speditamente e superficialmente per essere spese nell’occasione richiesta – si tratti di un esame, di una verifica o altro – e poi dimenticate. Ma questo è il principio dell’usa e getta, della moda, del consumo. Se la conoscenza viene considerata prima di tutto come cosa spendibile in una certa occasione allora non si sta più davvero parlando di valore d’uso, ma solo di mercato. L’ignorante differito è chi sa che gli articoli della conoscenza sono sempre disponibili sugli scaffali dell’ipermercato digitale e che potrà consumarli in qualsiasi momento per il solo fatto di disporre di una specifica strumentazione, quindi dei prodotti di determinate attività industriali. E siccome la possibilità di ricorso a tale strumentazione è percepita come perfettamente normale e illimitata, nel resto della società, qualsiasi sua interdizione in sedi specifiche (tra cui la scuola) è interpretata come un atto abusivo, reazionario, irrazionale.


Che ciò avvenga non è di per sé un male: o almeno non lo sarebbe se i nostri internauti fossero venuti in contatto con altre idee della conoscenza che possano in qualche modo controbilanciare quella suggerita loro da internet. Il punto è che sono in molti a non disporre d’altre forti e incisive esperienze della conoscenza, esperienze capaci di controbilanciare quella idea che viene invece loro automaticamente trasmessa dalla struttura stessa e dalle modalità, perlopiù rozze e grossolane, di fruizione di internet. Una esperienza controbilanciante, in questo senso, sarebbe quella data all’interno della scuola. Eppure noi assistiamo giorno dopo giorno a un adattamento e a una sorta di resa incondizionata dei soggetti e delle tecniche scolastiche tradizionali ai ritmi e ai diktat della tecnologia digitale e dei suoi format educativi. Questo significa che i metodi e le tecniche tradizionali della trasmissione del sapere, metodi e tecniche che hanno nelle figure e nei luoghi tradizionali della conoscenza la loro cittadella e mastio di difesa, non solo stanno subendo un assedio massiccio, totale e sistematico da parte delle nuove tecniche di trasmissione del sapere, ma che pure ne stanno uscendo decisamente sconfitte.


Tutto questo contribuisce a formare e a corroborare negli utenti di internet una idea della conoscenza che si articola secondo due tratti essenziali, ovvero in quanto cosa sempre disponibile per essere consumata puntualmente: in un preciso contesto, in un preciso momento, per un fine preciso. Occorre inoltre notare che tale idea non si dichiara manifestamente né si articola in maniera esplicita, ma matura implicitamente negli utenti dall’esperienza e dalla pratica stessa che essi hanno della conoscenza come offerta loro da internet.

Di questo passo, la concezione della conoscenza in quanto pratica che ha la propria causa e destinazione in sé stessa – nel naturale dispiegamento della curiosità e della creatività umana congenite nella sua pratica – tenderà all’obsolescenza, venendo sempre più polarizzata verso il fine amministrativo della gestione del mercato del lavoro e verso il fine politico di autorizzazione/implementazione del processo decisionale.



 

TOOLS OF THINKING PART V - DEFERRED IGNORANCE

Ὦ τεχνικώτατε Θεύθ, ἄλλος μὲν τεκεῖν δυνατὸς τὰ τέχνης,

ἄλλος δὲ κρῖναι τίν’ ἔχει μοῖραν βλάβης τε

καὶ ὠφελίας τοῖς μέλλουσι χρῆσθαι.

Oh most ingenious Theuth, there are those who are able to generate the products of technology, and there are those who are able to distinguish which part of harm

and help they offer to those who will use them.

Plato, Phaedrus


The fact that, thanks to the Internet, lots of different information can be accessed with great ease and immediacy, is certainly one of the main reasons for the success of the world wide web. There is no doubt about that. Nevertheless, we do not usually consider with a proper critical attitude the possible cognitive consequences of this situation. Among these, in particular, are the consequences for pupils engaged in pre-university education. I think that the first and most harmful among these consequences is that due to the virtually unlimited procrastination of the moment of knowledge, which has produced a new cognitive category: namely, that of deferred ignorance.


We all are, for the most part, deferred ignorami. Socially speaking, the development of our tools is directed towards the production and reproduction of deferred ignorami. I am not talking about the quantity, the multiplicity, the complexity of information and the inability to interpret it, or the possible confusion caused by such a plethora of information. We all recognise that ease and immediacy of use allow an internet user to access the contents of the web at almost any time, thus multiplying extraordinarily, if compared to the past, his possibilities of obtaining news and information of any kind; but how many people do also recognise the possibility that this unmatched and extraordinary multiplication, this ease and immediacy may also imply an emptying, a debasement of the very moment of knowledge? I want to talk about this knowledge’s debasement, not about any trouble or confusion due to the quantity of information.


What is emptied, what is debased, is the “moment” considered as the sum of the elements and circumstances that combine to characterise an educational act as an expressive and relational act, therefore endowed with its own uniqueness. The awareness that a certain opportunity of knowledge is linked to some defined moment, to the occurrence of a certain unrepeatable expressive and relational situation (be it a meeting, the fact of listening to a speech, participating in an interview, or the concentration which is necessary to read a book that one does not always have at hand), disposes us to a different quality of listening, to a different inner tension and therefore to a different quality of attention. In such a moment myriads of other elements are converging, linked to myriads of other sensations that make this moment extremely richer and – albeit to varying degrees – unrepeatable.


In addition to this, the risk is that through this use can be conveyed a fundamentally functional idea of knowledge: so as to impose, among all its possible values, that of its punctual and performative use. Information is quickly and superficially gathered to be spent on the required occasion – be it an examination, a test or other – and then forgotten. But this is the principle of throwaway, of fashion, of consumption. If knowledge is firstly and foremost considered as something expendable on a certain occasion, then we are no longer really talking about use-value, but of exchange-value. The deferred ignoramus is someone who knows that the articles of knowledge are always available on the shelves of the digital hypermarket and that as long as he is properly tooled, as long as he disposes of a specific instrumentation – so the products of certain industrial activities –, he can easily consume them at any moment. Since the possibility of resorting to such tools is perceived as perfectly normal and unlimited in the rest of society, any ban on it in specific places (including schools) is interpreted as an abusive, reactionary, irrational act.


The fact that something similar happens is not necessarily bad or terrible… or, at least, it would not be so if our Internet users had come into contact with other ideas of knowledge that could somehow counterbalance the one suggested to them by the Internet. The point is that there are many who do not have other strong and incisive experiences of knowledge, experiences capable of counterbalancing the idea that is instead automatically transmitted to them by the very structure and modalities of the mostly rough use of the Internet. A counterbalancing experience, in this sense, could be given within schools: and yet I think I’m not misrepresenting our actual situation when I say that we are witnessing, day after day, an adaptation and a sort of unconditional surrender of traditional scholastic subjects and techniques to the rhythms and diktats of digital technology and its educational formats. This means that the traditional methods and techniques of knowledge transmission – methods and techniques that have their stronghold in the traditional figures and places of knowledge – are not only being subjected to a massive, total and systematic siege by the new techniques of knowledge transmission, but are also being decisively defeated.


All this contributes to forming and corroborating in Internet users an idea of knowledge that is articulated according to two essential traits: as something always available to be punctually consumed – in a precise context, at a precise moment – and for a precise, operative purpose. It should also be noted that this idea is not explicitly stated or articulated, but it rather implicitly ripens in users from their very experience and practice of knowledge as offered to them by the internet.

At this rate, the conception of knowledge as a practice that has its cause and destination in itself – in the natural unfolding of human curiosity and creativity which is congenital to its practice – will tend to obsolescence, becoming increasingly polarised towards the administrative end of labour market management and the political end of implementation of the decision-making process.

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