di Marco Giubbilei
ITA/ENG
Traduzione dell'autore
In questo articolo parleremo del libro Enrico Fermi l’ultimo uomo che sapeva tutto, scritto dal saggista statunitense David N. Schwartz e pubblicato in Italia nel 2018 dalla casa editrice Solferino (Figura 1).
A differenza di grandi scienziati come ad esempio Albert Einstein, Richard Feynman o Stephen Hawking, la cui fama si è largamente propagata al grande pubblico e non solo ai membri della comunità scientifica, Enrico Fermi, che nacque a Roma nel 1901 e morì a Chicago nel 1954, non è mai diventato così popolare. La biografia di Fermi scritta da Schwartz ha quindi sicuramente il grande merito di riaccendere l’attenzione su uno scienziato che ha dato enormi contributi allo sviluppo della fisica nel ventesimo secolo.
Come mette bene in evidenza Schwartz, uno dei periodi più importanti nella vita di Enrico Fermi fu quello degli anni di formazione universitaria presso la Scuola Normale Superiore di Pisa (Figura 2).
La formazione scientifica di Fermi ebbe inizio con gli studi liceali a Roma ma soprattutto grazie all'impegno di Adolfo Amidei, ingegnere e amico del padre di Fermi che prese il giovane Enrico sotto la sua ala protettiva insegnandogli la matematica e la fisica universitaria già a partire dal 1914, quando Fermi aveva appena tredici anni. Con l’inizio della frequenza nel 1918 della classe di Scienze alla Normale di Pisa, Fermi ebbe modo di cominciare a confrontarsi con le principali problematiche della fisica dell’epoca e con gli scienziati che ci lavoravano.
Durante gli anni della Normale Fermi non solo seguì con ottimi risultati i corsi accademici curricolari ma ebbe anche modo, grazie alle sue già solide conoscenze scientifiche e alla sua innata curiosità, di cimentarsi in modo autonomo con lo studio di argomenti di punta come la teoria della relatività e la meccanica quantistica. Cominciarono inoltre ad emergere due delle caratteristiche che avrebbero reso Fermi uno scienziato unico e completo, ossia la sua straordinaria capacità di risolvere problemi anche molto complessi con metodi immediati ed il suo interesse paritetico sia per la fisica sperimentale che per quella teorica. Gli studi universitari di Fermi alla Normale si conclusero con la laurea nel 1922. A quell’epoca il giovane Enrico Fermi era già uno dei maggiori esperti della teoria della relatività ed uno dei suoi più ferventi sostenitori nella comunità dei fisici italiani.
Particolare attenzione viene dedicata poi da Schwartz a quella che fu la creazione da parte di Fermi della Scuola di Fisica di Roma, presso l’Istituto di Fisica di via Panisperna.
Anche se molti testi sono stati scritti questo argomento, uno degli aspetti più interessanti del libro di Schwartz è quello che riguarda il modo radicalmente innovativo in cui Fermi ebbe modo di insegnare ai suoi studenti.
Dopo la laurea a Pisa Fermi ebbe modo di trascorrere alcuni periodi di studio presso l’Università di Gottinga in Germania e successivamente presso l’Università di Leida in Olanda, per poi rientrare in Italia nel 1925 e diventare professore incaricato presso l’Istituto di Fisica di Firenze, anche grazie all'intervento del suo mentore Orso Mario Corbino (Figura 3).
Corbino fu una figura fondamentale nella carriera scientifica di Fermi. Fu sempre grazie al suo interessamento, in qualità di direttore dell’Istituto di Fisica di Roma, che Fermi riuscì ad ottenere nel 1926 la prima cattedra di fisica teorica creata in Italia. Corbino, oltre ad essere uno stimato docente universitario di fisica, fu anche un grande manager ed un abile politico, ricoprendo il ruolo di Ministro della Pubblica Istruzione nel 1921-22 e poi di Ministro dell’Economia Nazionale nel 1923-24. Dalla sinergia tra le capacità manageriali di Corbino ed il talento di Fermi, che già era noto grazie ai suoi lavori sulla meccanica statistica applicata alla teoria quantistica dei gas ideali, nacque una delle esperienze più felici e feconde della fisica italiana del Novecento: la Scuola di Fisica di Via Panisperna. Tra il 1927 ed il 1934 Fermi ebbe infatti modo di creare un gruppo di lavoro al quale presero parte studenti come Emilio Segrè, Franco Rasetti, Edoardo Amaldi ed Ettore Majorana, che sarebbero in breve diventati fisici di eccezionale livello (Figura 4).
Dal punto di vista scientifico il contributo più importante del gruppo di via Panisperna fu quello dello studio della radioattività indotta negli elementi chimici tramite il bombardamento di neutroni lenti. Come capita spesso nella storia della scienza, il risultato scientifico ottenuto dal gruppo nel 1934 fu addirittura più straordinario di quanto venne compreso al momento, in quanto si capì successivamente che si trattava della prima evidenza sperimentale del fenomeno della fissione nucleare.
Fondamentale per il successo del gruppo fu sicuramente il modo del tutto non convenzionale in cui vennero formati didatticamente i suoi elementi da parte di Fermi. A differenza dei normali studenti di altri corsi di laurea, che erano tenuti a frequentare esclusivamente corsi curricolari, gli studenti del gruppo avevano la possibilità di seguire dei seminari privati tenuti da Fermi nel pomeriggio presso il suo studio. I seminari in realtà partivano come conversazioni su vari argomenti di fisica per poi trasformarsi in lezioni informali. In questi incontri Fermi non solo insegnava ai suoi studenti i contenuti specifici degli argomenti affrontati ma soprattutto trasmetteva loro il suo modo di ragionare e di affrontare i problemi, eliminando tutti i fattori irrilevanti e concentrandosi su quelli essenziali per arrivare alla soluzione più semplice. Come ebbe a ricordare Emilio Segrè: “Fermi lavorava su un problema in maniera lenta e metodica, senza accelerare quando i calcoli erano semplici né rallentare se si complicavano. Sembrava un rullo compressore che avanzasse schiacciando ogni cosa al suo passaggio. Il risultato finale era sempre chiaro e spesso ci si domandava perché tutto ciò non fosse noto da tempo visto che era così semplice e naturale.”
Schwartz approfondisce in modo accurato anche un altro avvenimento fondamentale nella vita di Enrico Fermi: l’assegnazione nel 1938 del premio Nobel (Figura 5).
Fermi cercò di dedicare le sue energie prevalentemente al lavoro di fisico ma, con il procedere della sua carriera scientifica, si trovò ad avere rapporti anche con i livelli decisionali del regime fascista. Nel 1929 infatti, di nuovo grazie al suo mentore Orso Mario Corbino, Fermi fu inserito nella lista dei candidati inaugurali della nuova Reale Accademia d’Italia, voluta fortemente da Mussolini per includervi le maggiori figure intellettuali italiane. Per quanto conservatore, Fermi non fu comunque un fervente sostenitore del partito fascista. Così come non lo fu Corbino il quale, pur ricoprendo importanti incarichi pubblici nel corso della sua carriera, non si iscrisse mai al Partito Nazionale Fascista. Probabilmente per entrambi l’adesione al regime fascista era vista prevalentemente come un mezzo per assicurare sostegno politico e finanziamento alle attività di ricerca in cui erano impegnati.
A partire del 1935, con l’Italia impegnata nella conquista del Corno d’Africa, i finanziamenti alle attività di ricerca cominciarono a ridursi sensibilmente. Per Fermi questa situazione cominciò a rivelarsi problematica, anche alla luce dei numerosi viaggi di lavoro che aveva avuto modo di svolgere in diverse università e centri di ricerca degli Stati Uniti fin dal 1930, toccando con mano quanto cospicui fossero invece oltreoceano l’interesse ed i finanziamenti per l’attività scientifica.
Con la morte di Corbino, avvenuta nel 1937, la situazione peggiorò ulteriormente in quanto a Fermi venne meno il principale referente politico, che tanta parte aveva avuto nella formazione della Scuola di Fisica a Roma. Nel 1938, con l’emanazione delle leggi razziali da parte del regime fascista, alle preoccupazioni professionali di Fermi si aggiunsero anche quelle familiari, dal momento che la moglie Laura faceva parte di una famiglia ebraica. Alla luce di questa situazione Fermi decise di trasferirsi negli Stati Uniti, accettando l’offerta di lavoro della Columbia University di New York. Non sorprende quindi che quando Fermi ricevette il 10 novembre del 1938 la telefonata della Fondazione Nobel che gli comunicava l’assegnazione del premio, l’occasione venne sfruttata per preparare in segreto il trasferimento suo e della famiglia, costituita dalla moglie Laura e dai figli Nella e Giulio, negli Stati Uniti.
La famiglia Fermi partì da Roma per Stoccolma in treno il 6 dicembre e la cerimonia dell’assegnazione del Nobel ebbe luogo nella capitale svedese il 10 dicembre. Dopo due settimane, il 24 dicembre del 1938, i Fermi s’imbarcarono a Southampton in Inghilterra con destinazione New York (Figura 6).
Anche da punto di vista strettamente scientifico l’assegnazione del Nobel fu per Fermi un evento molto particolare. La motivazione con cui fu conferito il premio recitava testualmente: “Per le sue dimostrazioni dell’esistenza di nuovi elementi radioattivi prodotti da irraggiamento neutronico, e per la scoperta delle reazioni nucleari causate dai neutroni lenti”. Tuttavia, ciò che aveva veramente scoperto Fermi nel 1934 con i suoi esperimenti era stato qualcosa di molto più importante e precisamente il fenomeno della fissione nucleare. Fermi però venne a sapere della cosa solo dopo il suo arrivo negli Stati Uniti nel gennaio del 1939, quando gli giunse notizia che gli scienziati tedeschi erano riusciti ad ottenere la fissione dell’atomo di uranio svolgendo esperimenti quasi identici a quelli fatti da lui a Roma.
Spesso siamo indotti a pensare che la vita di uno scienziato sia confinata al suo laboratorio, senza risentire delle vicende storiche che segnano la sua epoca. Dal libro di Schwartz emerge con chiarezza che un’impressione del genere nel caso di Fermi è del tutto errata. Fermi fu un uomo del suo tempo e si dovette confrontare sia dal punto di vista scientifico che etico con una delle sfide più complesse del ventesimo secolo: lo sfruttamento a fini bellici dell’energia nucleare.
Subito dopo il suo arrivo negli Stati Uniti nel gennaio del 1939 Fermi cominciò a lavorare presso la Columbia University di New York per dimostrare la fattibilità in laboratorio della fissione nucleare dei nuclei di uranio e la produzione di una reazione a catena in grado di autosostenersi. Fermi riprese così il lavoro che aveva svolto presso l’Istituto di Fisica a Roma, ma con strumentazione e tecnologia di livello enormemente superiore anche grazie all'interessamento del governo degli Stati Uniti, che si sarebbe successivamente ampliato con lo sviluppo del Progetto Manhattan per la costruzione dei primi ordigni atomici. L’interesse del governo degli Stati Uniti era motivato dal fatto che nelle reazioni di fissione nucleare, in cui gli atomi di uranio vengono spaccati tramite il bombardamento di neutroni, si liberano enormi quantità di energia. Con lo scoppio imminente della Seconda guerra mondiale, una fonte di energia così potente cominciò ad essere presa in considerazione per fini bellici. Nel suo laboratorio alla Columbia University Fermi bombardò nuclei di uranio tramite neutroni, rallentandoli con blocchi di grafite per aumentare la probabilità della fissione nucleare.
Il dispositivo sperimentale utilizzato da Fermi venne chiamato “pila” perché i blocchi di grafite erano per l’appunto impilati uno sull'altro (Figura 7).
La dimostrazione della fattibilità di una reazione di fissione nucleare in grado di autosostenersi con una reazione a catena, e cioè di produrre autonomamente energia, ebbe luogo dopo il trasferimento di Fermi a Chicago avvenuto alla metà del 1942. Presso l’università di Chicago venne infatti assemblato un nuovo dispositivo chiamato Chicago Pile-1 (CP-1). Il 2 dicembre di quell'anno venne condotto il primo innesco della reazione di fissione nucleare autosostenuta, che segnò l’inizio ufficiale dell’era atomica (Figura 8).
Il momento in cui la reazione di fissione cominciò ad autosostenersi venne immortalato da Richard Watts, membro della squadra di strumentazione dell’esperimento di Fermi, con le parole “We’re cookin!’”, e cioè “ci siamo”, riportate nel registro delle operazioni (Figura 9).
Un altro aspetto fondamentale della figura di Fermi che viene descritto in grande dettaglio da Schwartz è, citando l’autore del libro, quello di “insegnante straordinario e mentore amato”.
A differenza di altri scienziati che eccellevano nel loro campo di ricerca, Fermi fu anche un eccezionale docente (Figura 10). Le sue lezioni, prima in Italia e poi negli Stati Uniti, erano sempre affollatissime. Nel corso delle sue lezioni Fermi utilizzava appunti sui quali costruiva la spiegazione dei vari argomenti da trattare. Tuttavia, egli aveva la rara capacità di saper sviluppare da semplici appunti un discorso preciso e coerente senza lasciare nulla all'improvvisazione, fatta eccezione per qualche digressione, magari umoristica, che alleggerisse la lezione stessa. Come scrive Schwartz: “per quanto fosse complesso l’argomento, Fermi lo percorreva lentamente, ad un ritmo che consentiva agli studenti meno dotati di tenere il passo e ai più dotati di apprezzare il suo approccio specifico alla risoluzione dei problemi, che consisteva nell'eliminare le considerazioni estranee, ridurre il problema agli elementi essenziali e procedere passo dopo passo verso la soluzione”.
Uno degli aspetti più interessanti della didattica non convenzionale di Fermi fu costituito da quelli che vennero definiti i “problemi di Fermi”. Si trattava di problemi tratti dalla vita quotidiana che Fermi poneva ai suoi interlocutori spesso in modo scherzoso. Per risolvere i problemi di Fermi non erano necessari calcoli laboriosi ma bisognava essere in grado di formulare ipotesi ragionevoli che portassero ad una soluzione del problema. La soluzione ovviamente non era esatta ma consentiva di fare una stima approssimata dell’ordine di grandezza di quanto veniva richiesto. Il problema di Fermi più famoso era forse quello relativo a quanti fossero gli accordatori di piano nella città di Chicago (Figura 11).
La domanda poteva sembrare in effetti spiazzante, ma formulando opportune ipotesi come il numero di abitanti di Chicago, il numero di famiglie della città, la loro percentuale in possesso di un pianoforte, il numero di volte in un anno in cui un pianoforte necessita di essere accordato ed il numero di giorni lavorativi annuale di un accordatore, era possibile giungere ad una stima approssimata del numero di accordatori.
A conclusione del suo libro Schwartz si sofferma sull’eredità scientifica di Fermi. Se la grandezza di uno scienziato deve essere giudicata non solo dalle sue opere, ma anche dall’influenza prodotta dalle sue idee e dal suo metodo di lavoro sulla comunità scientifica, sicuramente allora Fermi va considerato come uno dei massimi scienziati del ventesimo secolo.
Fermi ha esercitato una grande influenza sia sulla storia della fisica che sulle persone che hanno studiato e lavorato con lui. Dopo la sua morte, avvenuta il 28 novembre del 1954, il suo nome è stato onorato rinominando nel 1955 l’Institute for Nuclear Studies dell’università di Chicago in cui lavorava come The Enrico Fermi Institute for Nuclear Studies e poi nel 1968 come The Enrico Fermi Institute. Anche il National Accelerator Laboratory di Batavia, che si trova a circa trenta km da Chicago ed è un centro di ricerca sulle particelle elementari, nel 1974 assunse in suo onore il nome di Fermi National Accelerator Laboratory (Figura 12).
Nel 1956 venne istituito dal Department of Energy (DOE) del governo degli Stati Uniti l’Enrico Fermi Award, che ha lo scopo di premiare annualmente gli scienziati che maggiormente si sono distinti nelle loro attività di ricerca. Anche in Italia dal 2011, in occasione del centenario della nascita di Fermi, è stato istituito dalla Società Italiana di Fisica il Premio Enrico Fermi come riconoscimento per i fisici che hanno fornito un rilevante contributo alla ricerca scientifica (Figura 13).
Nel 2008 la NASA ha rinominato il Gamma-ray Large Area Space Telescope in Fermi Gamma-ray Space Telescope. Il Fermi Telescope è usato per studiare la radiazione ad alta frequenza emessa dalle sorgenti cosmiche.
Per quanto riguarda specificamente il lascito scientifico, tra i principali settori in cui Enrico Fermi è stato uno dei più geniali precursori si possono annoverare quello dello studio dell’interazione debole, che è la forza che si manifesta nel decadimento radioattivo beta dei nuclei atomici, dell’interazione forte, che è la forza responsabile della stabilità dei nuclei atomici, della statistica applicata alla meccanica quantistica ed anche della progettazione dei primi computer per la simulazione di fenomeni fisici (Figura 14).
Alla fine del suo libro Schwartz mette in evidenza, oltre agli enormi meriti scientifici e didattici, quello che forse è il tratto più caratteristico di Fermi e cioè quello di poter essere definito, nel settore della fisica, come “l’ultimo uomo che sapeva tutto”. Fermi si occupò infatti nel corso della sua carriera di settori della fisica anche molto diversi tra loro, svolgendo attività di ricerca sia teorica che sperimentale. Già dalla fine dell’Ottocento aveva preso l’avvio in fisica, e più in generale nella ricerca scientifica, quel processo di specializzazione che ha progressivamente portato alla separazione netta tra attività sperimentale ed attività teorica. Ai giorni nostri, in cui un esperimento di fisica delle particelle può richiedere tempi dell’ordine della decina di anni con il coinvolgimento di migliaia di fisici, come avviene ad esempio nei laboratori del CERN di Ginevra, è ormai impossibile specializzarsi in aree di ricerca diverse tra loro. Anche da questo punto di vista Enrico Fermi ha lasciato una traccia unica ed indelebile nella storia della scienza.
The last man who knew everything
In this article, we will talk about the book The last man who knew everything, written by the American essayist David N. Schwartz and published in the United States in 2017 by Basic Books (Figure 1).
Unlike great scientists such as Albert Einstein, Richard Feynman, or Stephen Hawking, whose fame has largely spread to ordinary people and not only to the scientific community, Enrico Fermi, who was born in 1901 in Rome and passed away in 1954 in Chicago, has never become so popular. Fermi’s biography written by Schwartz has therefore definitely the great merit to focus again attention on a scientist who has deeply contributed to the development of physics in the twentieth century.
As well highlighted by Schwartz, one of the most important periods in Fermi’s life was that of his university years at Scuola Normale Superiore in Pisa (Figure 2).
Fermi’s scientific formation started attending Liceo in Rome but most of all thanks to the efforts of Adolfo Amidei, an engineer and a friend of Fermi’s father, who took the young Enrico under his wing and taught him math and physics since 1914, when Fermi was just thirteen. Once admitted to the class of Science at Normale in Pisa in 1918, Fermi began to deal with the main topics of contemporary physics and interact with the scientists working on them.
During his years at Normale not only did Fermi follow ordinary university classes with brilliant outcomes but had several opportunities to study on his own leading topics such as the special theory of relativity and quantum mechanics, taking advantage of his already solid scientific knowledge. Besides, two features that would have made Fermi a unique and complete scientist started to show up, that is, his extraordinary ability to solve complex problems with immediate techniques and his interest in both theoretical and experimental physics. Fermi’s university years at Normale ended in 1922 when he obtained a degree in Physics. At that time, despite his young age, Enrico Fermi was one of the greatest experts of the special theory of relativity and one of its most enthusiast supporters in the Italian community of physicists.
Schwartz describes then in great detail Fermi’s efforts to start the Physics School of Rome, at the Institute of via Panisperna. Even though many books have been written on this topic, one of the most interesting aspects of Schwartz’s book relates to the radically innovative way of teaching that Fermi used with his students.
After graduating in Pisa, Fermi spent several months at the University of Gottingen in Germany and later on at the University of Leiden in the Netherlands. He came back to Italy in 1925, obtaining a position as a professor at the Institute of Physics in Florence with the help of his mentor Orso Mario Corbino (Figure 3).
Corbino played a fundamental role in Fermi’s scientific career. In 1926, as a director of the Institute of Physics of Rome, helped Fermi obtain the first Italian chair of theoretical physics. Corbino, besides being a renowned professor of physics, was also a skillful manager and a capable politician, serving as the Minister of Public Education in 1921-22 and of National Economy in 1923-24. From the synergy between Corbino’s managerial capabilities and Fermi’s talent, which was already recognized thanks to his works on statistical mechanic applied to the quantum theory of ideal gases, sprang one of the most fortunate and fruitful experiences in the Italian physics of the twentieth century: the School of Physics at via Panisperna. Between 1927 and 1934 Fermi set up a group of talented students such as Emilio Segrè, Franco Rasetti, Edoardo Amaldi, and Ettore Majorana, who would have later become excellent physicists (Figure 4).
The most important scientific work carried out by Fermi’s group was the study of induced radioactivity in chemical elements, obtained bombarding them with slow neutrons. As it often happens in the history of science, the result achieved by the group in 1934 was even more extraordinary than they could understand at that time. Only later scientists realized that it was the first experimental evidence of nuclear fission.
One of the key reasons for the group’s success was due to the unconventional way used by Fermi to teach his students. Unlike students of other university classes, who had to follow only ordinary lectures, Fermi’s students attended private seminars held by Fermi himself in his office. Fermi started his seminars as conversations on different physics topics and turned them into informal lectures. In these meetings not only did Fermi teach his students the specific contents of the topics they discussed but, most of all, spread his way of reasoning and how to deal with problems, discarding all the unimportant elements and focusing only on the relevant ones to achieve the simplest possible solution. As Emilio Segrè recalled: “Fermi worked on a problem slowly and methodically, without accelerating when calculations were simple or slowing down when they became complicated. He was like a steamroller, crunching everything he found on his way. His final result was always extremely clear and one could wonder why it was not known yet, considering that it was so simple and natural”.
Schwartz examines thoroughly also another fundamental event of Fermi’s life: the award of the Nobel Prize in 1938 (figure 5).
Fermi tried to invest mainly his energy into physics but, as his scientific career progressed, he had also to deal with the decision-making levels of the fascist regime. In 1929, once again thanks to the help of his mentor Orso Mario Corbino, Fermi was included in the list of the first candidates to the newly established Reale Accademia d’Italia, warmly desired by Mussolini to gather the most important culture personalities of Italy. Fermi was a politically conservative person but he never supported enthusiastically the fascist party. Corbino was not a strong supporter of fascism either. He played important public roles during his career but never joined the National Fascist Party. Probably both of them considered the fascist regime as a useful means to ensure political support and appropriate funds to the research activities they were involved in.
From 1935 on, however, the funds for research started to decrease considerably due to the military engagement of Italy in the Horn of Africa. This new situation turned out to be problematic to Fermi, who had visited since 1930 many universities and research centers in the United States witnessing the large interest and abundance of funds for research.
After Corbino died in 1937, things got even worse because Fermi lost his main political mentor, who had strongly supported him to establish the Physics School in Rome. In 1938 the fascist regime enacted the racial laws and Fermi became deeply concerned not only about his scientific work but also about his family because his wife Laura was Jewish. It’s not surprising that when Fermi received a phone call from the Nobel Foundation on November 10th, he and his family, consisting of his wife Laura, his daughter Nella, and his son Giulio, started to set up secretly their relocation to the United States.
The Fermis left Rome to Stockholm by train on December 6th and the Nobel Prize ceremony took place in the Swedish capital on December 10th. After two weeks, on December 24th, Fermi and his family embarked at Southampton in England on a ship bound for New York (Figure 6).
The award of the Nobel Prize was a pretty peculiar event for Fermi even from a strictly scientific point of view. The Nobel Prize motivation read: "for his demonstrations of the existence of new radioactive elements produced by neutron irradiation, and for his related discovery of nuclear reactions brought about by slow neutrons". Fermi, however, was unaware that in 1934 he had discovered something more important with his experiments, that is, the nuclear fission. He realized it only after his arrival in the United States in January 1938, when news came to him that German scientists had obtained the fission of uranium atoms carrying out experiments almost identical to those done by him in Rome.
We often think that the life of a scientist is confined to his laboratory without feeling the influence of the historical facts that mark his era. From Schwartz’s book, it arises clearly that such an impression is completely wrong as far as Fermi is concerned. Fermi was a man of his times and he had to face both from a scientific and ethical point of view one of the most difficult challenges of the twentieth century, that is, the use of nuclear energy for military purposes.
Soon after he arrived in the United States in 1939, Fermi started to work at Columbia University to obtain the nuclear fission of uranium atoms and the production of a self-sustaining chain reaction. Fermi thus continued the work that he had begun at the Institute of Physics in Rome but with a highly superior level of technology and equipment. His experiments were strongly supported by the government of the United States, which was on the verge of starting the Manhattan Project to build the first atomic bombs. The government was interested in Fermi's experiments because in a fission reaction neutrons are used to irradiate and break uranium atoms, thus releasing a huge amount of energy. With the imminent outbreak of World War II, a source of energy so powerful started to be taken into account seriously for military purposes. In his laboratory at Columbia University Fermi bombarded uranium atoms with neutrons, slowing down them through graphite bricks to increase the probability of nuclear fission.
The experimental device used by Fermi was called a “pile” because graphite bricks were arranged on top of each other (Figure 7).
The feasibility of a self-sustaining fission process through a chain reaction, that is, a process producing energy autonomously, was demonstrated by Fermi after he moved to Chicago in mid-1942. He and his research group set up at the University of Chicago a new device called Chicago Pile-1 (CP-1). On December 2nd of that year, the first ignition of a self-sustained fission reaction took place, thus marking officially the beginning of the atomic era (Figure 8).
The instant when the fission reaction became to be self-sustained was immortalized by Richard Watts, a member of Fermi’s team, writing the words “We’re cookin!” in the experiment logbook (Figure 9).
As Schwartz discusses in great detail in his book, Fermi was also an “extraordinary teacher and beloved mentor”. Unlike other scientists who just excelled in their research fields, Fermi was also an exceptional teacher (Figure 10). His lectures, first in Italy and later on in the United States were always crowded. During his lectures, Fermi used notes and started from them to explain the different topics he had to present. However, he had the rare ability to develop precise and coherent reasoning from his notes without improvisating, except for some digressions, possibly humorous, to lighten the atmosphere. As Schwartz writes: “Despite the complexity of a given topic, Fermi treated it slowly, allowing less gifted students to keep up with the lecture and more talented ones to enjoy his approach to solve problems. The technique used by Fermi was to drop the irrelevant aspects of a problem, consider only its fundamental features, and then proceed step by step to the solution”.
One of the most interesting features of Fermi’s unconventional way of teaching was given by “Fermi problems”. At first glance, they looked like jokes rather than real problems and were often inspired by ordinary life situations. Solving Fermi problems did not require laborious calculations. It was just necessary to formulate some reasonable assumptions, which could lead to the solution through a step by step procedure. Such a solution was not exact but gave an approximate estimate of the order of magnitude of the required quantity. The most famous Fermi problem was perhaps that about the number of piano tuners in Chicago (Figure 11).
Initially, the question could seem amazing but with some suitable assumptions such as the number of inhabitants in Chicago, the number of families in that city, the percentage of families possessing a piano, the number of times in a year that a piano needs to be tuned, and the yearly number of working days of a piano tuner, it was possible to obtain a rough estimate of the number of piano tuners.
The final part of Schwartz’s book is dedicated to Fermi’s heritage. If the greatness of a scientist is judged not only through his works but also considering the influence of his ideas and methods on the scientific community, then certainly Fermi must be considered one of the most important scientists of the twentieth century.
Fermi exerted a strong influence both on the history of Physics and on the people who studied and worked with him. After he died on November 28th, 1954, his name was honored in 1955 when The Institute for Nuclear Studies of the Chicago University, where he worked, was renamed The Enrico Fermi Institute for Nuclear Studies and finally in 1968 The Enrico Fermi Institute. Also, The National Accelerator Laboratory in Batavia, which is a research center on elementary particles at about fifteen miles from Chicago, in 1974 was renamed The Fermi National Accelerator Laboratory to honor him (Figure 12).
In 1956 the Department of Energy (DOE) of the US Government established the “Enrico Fermi” Award, which rewards yearly the scientists who have excelled in their research activities. In 2001 the Società Italiana di Fisica established the Premio “Enrico Fermi” to commemorate the 100th anniversary of his birth. This prize awards yearly the Italian physicists who have distinguished themselves with their scientific accomplishments (Figure 13).
In 2008 The NASA renamed the Gamma-ray Large Area Space Telescope the Fermi Gamma-ray Space Telescope. The Fermi Telescope is used to study the high-frequency radiation emitted by cosmic sources.
As far as Fermi’s scientific heritage is concerned, the main areas where he has been one the most brilliant pioneers are the weak interaction, which is the force acting when atomic nuclei undergo beta decay, the strong interaction, which is the force binding the nucleus together, statistics applied to quantum mechanics, and also the design of the first computers to simulate a physical phenomenon (Figure 14).
At the end of the book, Schwartz highlights, besides Fermi’s immense qualities as a scientist and a teacher, his most peculiar characteristic, that is, of being “the last man who knew everything” in the field of Physics. During his career Fermi dealt indeed with many different research areas, working both as an experimental physicist and a theoretical one. However, since the end of the nineteenth century, a specialization process has started to take place in physics and, most generally, in other disciplines. Such a process has progressively resulted in a deep separation between theoretical and experimental research. Nowadays, an experiment of particle physics can require tens of years and thousands of physicists, like for example in the CERN laboratories in Geneva, thus hindering scientists from specializing in different research areas. Even from this point of view, Fermi has left a unique and permanent mark on the history of science.
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