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FRANCESCO ZEVIO - CITTADINANZA PRECARIA

IT/EN

Translation by the author



Fritz Lang, Metropolis (1927)


Fluidità e precarietà si sono ormai ritagliate molto più spazio in molte più vite: e questo perché, con lo scorrere del tempo, col radicarsi e quindi convertirsi in consuetudine di determinate prassi economiche e sociali legate a questi due caratteri, l’etica – ovvero l’id quod plerumque accidit sociale, il complesso dei comportamenti condivisi dalla maggior parte dei partecipanti a un gruppo umano – si è via via riorientata lungo i loro assi.


E allora perché, riconosciuta questa rotta generale, anche la cittadinanza non dovrebbe seguirla, divenendo fluida e precaria? D’altronde, pare che lo stato moderno si trovi già da un bel po’ di tempo in uno stato di crisi permanente (né è mancato chi teorizzasse che esso non viva crisi, ma viva di crisi…) e allora perché non dovrebbero essere in crisi alcune delle basi concettuali su cui si fonda? Perché il concetto e i presupposti della cittadinanza dovrebbero rimanere stabili? O ancora: perché l’azione del diritto dovrebbe continuare a pretendere di estendersi con una certa omogeneità e costanza nel tempo, con una certa dose di “certezza” e non, invece, accettare di essere costantemente sottoposta a revisioni, ad aggiornamenti, a implementazioni autoritarie e insomma a crisi, a decisioni sovrane? Se, in un certo paese, una certa consuetudine storica determinava la partecipazione a una certa comunità – quindi a vedersi riconosciuti una serie di doveri e di diritti politici e civili – in base alla logica dello ius sanguinis, cosa impedisce di modificare tale logica sotto la spinta (più o meno leggera) di altre condizioni e sollecitazioni storiche? A rifletterci freddamente, proprio come alcune modifiche al diritto del lavoro rispondono meglio a un’etica della precarietà lavorativa, così uno ius vaccini– o ciò che potrebbe seguire ai mutamenti del periodo presente – risponderebbe perfettamente alla forma di una cittadinanza fluida, precaria.


Eravamo abituati al lavoro stabile? Ora lo siamo al lavoro precario. Eravamo abituati a una cittadinanza stabile? Forse, di questo passo, ci sarà presto richiesto di abituarci a una cittadinanza precaria. In un mondo su cui incombono immani crisi, in un mondo organizzato perlopiù secondo un modello di produzione accentrata eteronoma, per dirla alla Illich – ovvero un mondo in cui la produzione tenda a divenire monopolio di organismi e istituzioni sempre più accentrate che, grazie al loro sviluppo tecnologico, riescano a mettere in campo una produttività mostruosa –, in questo mondo gli imperativi saranno due: gestione e distribuzione.


Non solo beni, ma anche servizi: tutto potrebbe esserci messo a disposizione gratuitamente, una volta che sia stato definitivamente risolto in tal senso il problema della produzione. In cambio verrebbe solo chiesto alle popolazioni di acconsentire a un piano e a un ordine di gestione: e questo nuovo consentimento, magari incarnato in qualche particolare dispositivo, potrebbe fondare una nuova forma di contratto sociale. I monopoli del valore e dello scambio, ora detenuti e concentrati nel denaro, potrebbero a questo punto incarnarsi in una sorta di credito sociale direttamente proporzionale al grado di consenso accordato dai singoli individui alle linee guida derivanti da piani di gestione delle risorse e dei servizi calcolati in rapporto a situazioni di crisi e popolazioni. Consenso e conformismo potrebbero consumare il regicidio del denaro, sebbene il denaro sia già, in un certo senso, idolo personificante consenso e conformismo: e questo perché accettare un sistema il cui perno sia il denaro significa accordare il proprio consenso avvallando gli a priori, le linee direttive e le regole di un sistema basato sulla preponderanza della produzione di valore di mercato sulla produzione di valore d’uso. Ma a ciò siamo talmente avvezzi, ciò ci appare talmente ovvio e naturale (qualcuno direbbe: la sussunzione a questa logica di pressoché ogni aspetto della realtà è talmente estesa e radicata), da non rendercene nemmeno più conto.


L’equazione è semplice: determinare, foggiare, definire i valori che formano il concetto di benessere (centro simbolico della vita umana); perfezionare, affinare, estendere i dispositivi di produzione e di gestione delle risorse (centro materiale della vita umana); quindi richiedere, forti della promessa e della prospettiva futura dell’idea – socialmente definita – di tale benessere, il consenso delle popolazioni alla loro gestione, il loro consenso alla loro gestione. Economia, tecnica, politica: finalmente una e trina.


 


PRECARIOUS CITIZENSHIP



Fluidity and precariousness have taken much more space in many more lives. This happens because ethics – or rather the social id quod plerumque accidit, the complex of behaviours shared by the majority of participants in a human group – has gradually reoriented itself along their axes. And this happens because, over time, more and more economic and social practices linked to fluidity and precariousness have taken root, thus becoming customary.


So why should citizenship not also follow this readjustment, becoming fluid and precarious? After all, it seems that the modern State has been in a state of permanent crisis for quite a long time now (and there have been those who theorised that it does not live in state of crisis, but rather by state of crisis…) and so why should some of the conceptual bases on which this State is founded evade this general crisis? Why should the concept and assumptions of citizenship remain stable? Or again: why should we claim right to still be applied with a certain homogeneity and constancy and certainty over time and not, instead, accept it being constantly subjected to revisions, updates, authoritarian implementations and – in short – crises, sovereign decisions? If, in a certain country, some historically established customs determined participation in a certain community – and therefore the recognition of a series of duties among with political and civil rights – on the logic of ius sanguinis, what prevents this logic from being modified under the pressure (or nudge) of other historical conditions? On cold reflection, just as certain changes in labour law respond better to an ethic of job insecurity, so a ius vaccini – or whatever might follow the changes of the present period – would perfectly fit to the form of a fluid, precarious citizenship.


Were we used to stable work? Now we are used to precarious work. Were we used to stable citizenship? Perhaps, at this rate, we will soon be required to get used to precarious citizenship. In a world over which immense crises are looming, in a world largely organised according to a model of centralised heteronomous production, as Illich would put it – i.e. a world in which production tends to become the monopoly of increasingly centralised corporations and institutions which, thanks to their technological development, are able to deploy monstrous productivity – in this world there will be two main imperatives: management and distribution.


Not only goods, but also services: everything could be made available to us free of charge, once the problem of production has been definitively resolved. In return, populations would only be asked to consent to a management plan. This new consent, or rather consensus – perhaps embodied in some particular device – could establish a new form of social contract. The monopolies of value and exchange, now held and merged in money, could at this point be embodied in a form of social credit which will be directly proportional to the degree of consent accorded by individuals to guidelines calculated from resource and service management plans in relation to crises and populations. Consensus and conformism could consume the regicide of money, although money is already, in a certain sense, an idol personifying consensus and conformism. In fact, by accepting a system whose pivot is money, we are actually endorsing the a priori, the guidelines and rules of a system based on the preponderance of the production of market value over the production of use value. But we are so accustomed to this, this seems so natural and obvious to us (some would say: the subsumption to this logic of almost every aspect of reality is so widespread and deep-rooted), that we do not even realise it anymore.


The equation is simple: determine, shape, and define the values that form the concept of well-being (symbolic centre of human life); perfect, refine, and extend the devices for producing and managing resources (material centre of human life); and then request, strengthened by the promise and future prospect of the (socially defined) idea of this well-being, the consent of the populations to their management. Economics, technology, politics: one and triune, at last.

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